È forse ingiusto da parte mia tirare fuori valutazioni e critiche riferite al cinema italiano parlando di Il cattivo poeta, lungometraggio d’esordio scritto e diretto di Gianluca Jodice capace col solo trailer d’intercettare un livello d’attenzione raro per registi senza lunghi trascorsi alle spalle. D’altronde il suo progetto gode della produzione e della protezione di Matteo Rovere, di cui è difficile dire quale sia il maggior talento. Sia come regista sia come produttore infatti ha dato una sferzata di ammodernamento al cinema italiano, aprendo le finestre di un comparto che odorava di polvere e stantio.

Anche la carta fascista non passa mai inosservata. Sospeso tra biografia e dramma, Il cattivo poeta è ambientato tra il 1936 e il 1938 e tenta di ricostruire il fine vita del Vate, Gabriele D’Annunzio. Poco più di un pretesto per esplorare il rapporto ambiguo e tormentato tra il poeta patrio e Mussolini, tra Fiume e Berlino, tra interventismo e dittatura, in un’Italia sull’orlo del precipizio bellico da cui D’annunzio tenta di trarla in salvo, avendo in forte antipatia “il ridicolo nibelungo” e temendo la sua capacità di asservirla a una guerra non necessaria.

Comprensibile che quindi il film abbia un’atmosfera che dal malinconico via via vira nel cupo, con momenti di fredda paranoia. Ad esservi ritratta è un’Italia precipitata nell’incubo dittatoriale ma ancora inconsapevole, dove la brava gente o chiude già gli occhi mentre sogna un futuro migliore o vive cortocircuiti di sgomente prese di consapevolezza. L’amico che al bar dice una parola di troppo, la macchia di vino sulla foto del Duce sul giornale: tutto è ambiguo, risibile o gravissimo, a seconda del momento e degli interpreti.

D’Annunzio a tratti è una lucida Cassandra, a momenti un vecchio cocainomane ossessionato dalla presenza di topi immaginari, chiuso in un Vittoriale gremito di spie e lacchè. L’atmosfera al Vittoriale ricorda la villa di Gloria Swason in Viale del tramonto di Billy Wilder. Decadenza e opulenza, un codazzo di amanti e spie sempre più vecchio, sempre più rivolto al passato e chiuso in sé stesso.

Il tratto più imperdonabile del protagonista, il Federale di Brescia Giovanni Comini (Francesco Patané) è la sua gioventù ingenua e malleabile. Forgiato nella certezza di un futuro radioso promesso dal Duce e cieco agli orrori che si consumano nelle cantine fasciste, Comini è circondato da persone consumate dal tempo e dall’esperienza. Il film lo vede prevedibilmente prima spia e poi sodale di D’Annunzio, mentre la consapevolezza si fa strada, i lugubri umori del Vittoriale e dell’Italia fascista intaccano la sua giovinezza.

Sulla credibilità storica della ricostruzione tardo dannunziana e delle conclusioni tratte non mi pronuncerò: nell’economia interna il film si dimostra coerente, corroborato dalla classica chiusa con le foto dei veri protagonisti della vicenda e del loro destino.

In un titolo fatto così bene ma dall’immobilismo così asfissiante a colpire è soprattutto l’aura mortifera che permea il risultato finale, che pare catapultato da un’altra epoca per ritmi, ma senza la maestria carismatica dei grandi maestri. In una parola: la tipica pellicola italiana che imponiamo alla stampa estera al Festival di Venezia. Così come il protagonista Comini, anche il cinema italiano ben prodotto e dalle tematiche importanti sembra in soggezione verso i maestri, incapace di trovare un modo nuovo per raccontare certe vecchie storie che erano rimaste a covare sotto la cenere, figuriamoci poi di trovare storie nuovi. Così le nuove voci si sovrappongono alle vecchie, infine inudibili.

Impeccabile per fotografia e scenografie, passabile nelle interpretazioni ma implacabile nella sua stasi, Il cattivo poeta dilata ogni minuto in un’eternità di vuote certezze. Senza voler essere autoriale a tutti i costi, rimane così sconnesso dal linguaggio cinematografico presente, dalla vita presente, da essere quasi nato morto. È l’ennesimo rappresentante di quel sconcertante passatismo delle nuove leve del cinema italiano, fatto di ideologie perdute da sostenere o di nemici facili da identificare e combattere. Una parata di facce unte e squadrate, un D’Annunzio digeribile in quanto già digerito dalla vita, dalle sconfitte, dall’esilio scelto sul Garda. Bello e inutile.



Players è un progetto gratuito.

Se ti piace quello che facciamo, puoi supportarci (o offrirci una birra) comprando musica, giochi, libri e film tramite i link Amazon che trovi negli articoli, senza nessun costo aggiuntivo.

Grazie!
, ,
Similar Posts
Latest Posts from Players